L’INGIUSTIZIA UGUALE PER TUTTI

Chaplin diceva che bisogna sempre avere il coraggio delle proprie idee, senza temere le conseguenze.

L’uomo è libero solo se può esprimere il suo pensiero senza condizionamenti di sorta, e per quanto la cosa sembri banale, nulla è più attinente alla verità. La Costituzione italiana sancisce tutto ciò: «Tutti i cittadini della Repubblica italiana sono uguali di fronte alla legge anche se appartengono a razze diverse, se parlano lingue diverse, se credono in un Dio diverso e sono di sesso diverso. L’uguaglianza significa non che tutti sono o debbano essere uguali ma che le differenze esistenti tra le persone non possono essere motivo di discriminazione e di trattamento differenziato.
La libertà di manifestare il proprio pensiero è garantita al cristiano così cme al musulmano e al buddhista. Il principio di uguaglianza fa sì che debbano essere eliminati o rimossi gli ostacoli sia fisici che morali che si frappongono ad una effettiva uguaglianza, è perciò strettamente legato al concetto di giustizia, in quanto implica la necessità di regolare con leggi, a volte particolari e specifiche, il miglioramento delle condizioni dei meno abbienti e dei più deboli.»
Così recita il principio di uguaglianza e giustizia all’interno della nostra fonte per eccellenza: la Costituzione.

Voglio approfondire queste parole di profondo valore etico. In primo luogo, tutti i cittadini della Repubblica italiana sono uguali di fronte alla legge anche se appartengono a razze diverse. Dovrebbe essere così. Nella realtà, se ci si guarda bene intorno, altro non si è che elementi facenti parte di caste feudali, ciascuno con diritti e doveri diversi. Chi è ai piani alti ha più diritti che doveri, chi è ai piani bassi solo doveri. Il dovere di alzarsi presto per tendere la mano, avere la fortuna di raccattare qualche briciola che cala dall’alto, ed accontentarsi di questa, per oggi. Un esempio estremo, forse, ma per nulla fuori dalla vita comune. Aggiungiamoci, poi, la componente che il colore della nostra pelle non è uguale per tutti. Perché si, è vera quella storia che esiste l’uomo bianco e l’uomo nero. E la maggior parte delle volte il primo snobba, con fare altezzoso, innato, come se fosse un esercizio da tramandare di generazione in generazione, l’uomo nero, il quale cammina chino e con la testa bassa, perché crede ancora di avere perso il permesso di soggiorno: l’ultima bugia, a fin di bene, che si era detto. Perché per l’uomo bianco è comoda la storia che l’uomo nero è un intruso, che gli ruba la terra e il lavoro, (una terra che di fatto non appartiene a nessuno dei due, ma ad entrambi nella stessa misura), quello cattivo, che viene nella notte se i bambini non dormono. Una fiaba, che io trovo di un’ignoranza abissale. Ed anche Dino Buzzati si sforzò, in un racconto Il Babau, all’interno della raccolta Le notti difficili, di provare che il diverso non può far paura, descrivendo il povero Babau come colui che temeva l’essere umano, e per questo emergeva solo di notte.
E per tutte le volte che vedo un uomo di colore vorrei fermarlo e chiedergli scusa. «Scusa uomo nero se pensiamo che di notte entri nelle camerette dei nostri figli per fare loro del male.»
«Scusa uomo nero se l’uomo bianco ti da del tu quando ti incontra per la strada, mentre cerchi di venderci qualcosa: tutti abbiamo diritto ad un minimo di dignità e rispetto nella forma. Io, almeno, ci tengo, poi non so tu.»
«Scusa uomo nero se l’uomo bianco non è capace nello stringerti la mano, ma nel togliertele, legandotele ad una continua schiavitù.»
«Scusa uomo nero se io non ho imparato ancora ad urlare a chi non ti rispetta.»

Per cui, caro uomo nero, se parli la tua lingua, ti insultiamo imponendoti di parlare la nostra perché vivi qui, sul suolo italiano, di buoni costumi e tradizionalista. Noi si che sappiamo stare alla gente. Pensa, caro uomo nero, parliamo tanti dialetti che a noi, dell’unione, cosa importa? Mica come te che parli una lingua per ogni stato da cui provieni. Ah, caro uomo nero, ma che ne vuoi sapere? Il tuo Dio? Beh: sai che ti dico? Continua a pregarlo. Fatti ammirare mentre lo fai. Perché noi ci siamo dimenticati di come si fa. Io, oramai, non ci capisco più niente! Dicono che siamo uguali. Ed io vorrei essere come te. Ed il bello è che  so che me lo permetteresti!

Io sono una donna, una donna in Italia. Io sono una donna in Italia oggi.  Io sono donna in Italia oggi. Punto. Ho più vantaggi rispetto alla donna in Italia ieri. Virgola. Tipo: ho frequentato l’università, ed ho avuto professori uomini che durante gli esami, mi hanno interrogata a porte chiuse, senza assistenti, con una sigaretta accesa, promettendomi la lode se andavo a ripassare la Divina Commedia a casa loro.  Ma ho declinato ogni loro invito e la lode non l’ho mai avuta. Ho portato qualche volta le gonne e avevo gli occhi degli uomini appiccicati addosso come pegno da pagare se decidevo di indossare un capo del genere. E per questa sensazione fastidiosa, per anni ho preferito i pantaloni, le camicie, e mai i tacchi. Io ho avuto la possibilità di sostenere dei colloqui di lavoro: «Lei è sposata? Ma mica vorrebbe? Ma è incinta? Ma mica vorrebbe?» e come aumenterebbe la demografia in Italia? Ed ecco che ancora un lavoro vero e proprio non ce l’ho. Però, come ognuno sa, le donne hanno, secondo la legge gli stessi diritti degli uomini. Proprio in un’Italia che è uguale da nord a sud, isole comprese.
Ma nella vita reale non si ha quest’ impressione. Oggi ci sono già donne manager, donne che fanno carriera in politica e anche donne scienziata, donne pilota, donne designer, e così via.

È molto difficile emanciparsi per le donne meridionali. Nel mezzogiorno le donne devono portare solo vestiti neri, devono coprire la loro pelle ed il loro destino sarebbe rimanere sempre a casa e fare la casalinga.
Ma oggi, anche la donna meridionale ha cominciato a emanciparsi, e per lo più le ragazze fuggono dalla tradizione del Mezzogiorno al Nord dove possono trovare più possibilità per studiare ed istruirsi meglio. Qualche volta si trovano anche nel Sud donne che occupano un posto di grande prestigio.
Pieno rispetto per la donna, perché ricordiamo: Tutti i cittadini della Repubblica italiana sono uguali di fronte alla legge anche se sono di sesso diverso.

La libertà di manifestare il proprio pensiero è garantita al cristiano come al musulmano e al buddhista.
Così noi continuiamo a scendere in piazza. A manifestare per i nostri diritti. Il problema è che questi diritti sono sempresbagliati. Ed il più grande terrore è che poi dall’alto si domandano cosa manifestiamo a fare, se nulla cambia.
Perché volerci togliere l’ultima speranza di credere in un piccolo cambiamento? Perché quegli striscioni non vengono letti? E perché “altri” non scendono in piazza con noi?”
Se ci ascoltassimo tutti un po’ di più, non con l’orecchio, ma con il cuore, con la mente, allora io credo che forse nessuno si lamenterebbe più di alcuna manifestazione, perché non sussisterebbero. Ma alla fine, forse è giusto anche così: gli uni da una parte, senza scomporsi, senza sporcarsi. E noi a vivere quelle bellissime sinergie che in una manifestazione si possono creare perché, per fortuna o sfortuna, nel dolore non si è mai soli. I cori diventano una voce sola. Come unica è la bandiera da seguire. Essenziale, dunque, ricordare di ricordarci il nostro diritto di uomini. Di uomini che si sporcano le mani di grasso nelle fabbriche che stanno per chiudere, e nonostante tutto, quelle mani continuano a lavorare, con la speranza di potersi sporcare a vita le mani, perché siano pulite quelle dei loro figli e delle loro mogli. O di essere umani che, alla fine chiedono soltanto di amarsi alla luce del sole senza doversi nascondere. Manifestare perché l’amore sia riconosciuto: questo è un paradosso.

Lo ammetto, sono indignata di un’Italia dove la giustizia è una buona ingiustizia. Dove chi riceve un pugno, paga. Dove una maestra che picchia i bambini è agli arresti domiciliari. Dove noi giovani, donne, uomini, non abbiamo tanto fiducia nel futuro. Sono indignata perché è la mia Italia. Perché è la mia madre.
Eppure continuo a tenere alta la testa insieme a quella bandiera perché so che, dallo stesso ventre, milioni di persone ne sono usciti come me, e se mi volto, siamo in tanti a  continuare a credere in un futuro che rincorriamo, come dietro a una locomotiva.

FERMO IMMAGINE

Un istante.
Il mondo si ferma.
Un fermo immagine.
Una società di reietti rifiutati dai rifiuti; un grattacielo crolla; un ennesimo urlo disperato di una madre con i figlio esanime tra le gambe; ed un altro patto di sangue tra due persone in onore alla “signora” da dover rispettare.
Un istante.
Il mondo si ferma.
Un fermo immagine.
Su una tavolozza due occhi si confondono; in un museo di statue di cera due corpi si fondono; in un bunker due fucili sparano fiori colorati e si ode l’eco di due risate un pò infantili.
Un istante.
Il mondo si ferma.
Un fermo immagine…

VOLEVO SOLO SBOCCIARE

“Volevo solo sbocciare”
Voleva solo sbocciare, continuare a profumare e a guardarsi allo specchio, mentre cresceva nella sua bellezza, mentre si scopriva sempre più donna tra le donne. mentre il suo profumo era sempre più bello , perchè diverso dagli altri.

Voleva solo continuare a vivere, costruire giorno per giorno la sua scala, fatta di note, di composizione quotidiane, di bianchi e neri e di colori fluo, talmente fluo, da accecare la vista dei passanti.

Voleva solo continuare a sorridere, inciampare e rialzarsi, e poi di nuovo sorridere, inciampare e rialzarsi, una, cento, mille volte, per poi, un giorno, raccontarlo a chi avrebbe incontrato, e chi avrebbe amato.

Voleva solo correre.
Ma sul mare, al tramonto, in quelle sere d’estate. Quando il profumo delle rose, vicino, è più intenso. Quando la vanità dei petali si sposa con il rosso intenso caldo del sole. E magari, poi, strappare una di quelle rose per regararla alla madre e di nuovo dirle “grazie”.

Invece ha corso. Mentre il suo profumo veniva mangiato dall’odore forte di benzina. Ha corso lasciando petali in mezzo alla strada perchè i passanti si fermassero per riconsegnarglieli. Quella notte. Quella dannata notte in cui lei chiedeva soltanto di voler continuare a sbocciare.